DI UNIVERSITÀ SI MUORE E LA TUA VITA VALE SOLO 3 MINUTI

02.02.2023

Ninetta mia a crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio.

Ninetta bella dritto all'Inferno, avrei preferito andarci d'Inverno.


Mesi fa, in preda alla rabbia, ho scritto una delle cose di cui vado più fiera e che, nonostante tutto, ancora mi causa dolore quando la leggo. Si chiama "Al mio ventesimo compleanno mi hanno regalato la paura". Ieri c'è stato l'ennesimo caso di una studentessa universitaria che si sente un fallimento e si suicida. E vorrei tanto poter dire che queste cose riguardano "gli altri", ma questa volta non è così.

Sono sempre stata una studentessa eccellente, elogiata da tutti, mi sono diplomata con la Lode e tutti hanno avuto da ridire sulla mia scelta universitaria perché potevi fare meglio, tipo Ingegneria o Medicina.

Il mio primo anno universitario è stato l'anno più brutto della mia vita, si sono accumulati una serie di fattori per cui passavo le mie giornate a piangere e poi, quando le lacrime finivano, guardavo il vuoto. Il tutto mentre ero seduta a tavola con i libri aperti davanti.

Io ho 20 anni e mi sento un fallimento. Mi sento un fallimento perché nonostante tutto l'impegno che ci metto, tutti gli sforzi che compio, non riesco a prendere il massimo agli esami e per il mondo attorno a me o sei un 110 e Lode in tre anni o non sei nessuno. E io mi sento nessuno.

Tutta la pressione e le aspettative attorno a me, di cui io stessa sono la colpevole principale, sono la causa di un peso che mi attanaglia il petto e non mi permette di respirare a pieni polmoni.

Mentre lascio che cinquantenni con la licenza media mi giudichino un fallimento perché non merito di arrivare dove loro sono arrivati con il diploma, una ragazza si è appesa alla porta del bagno della sua università e ha lasciato che la sua sciarpa la uccidesse. Quando leggi queste storie pensi sempre che tanto capita "agli altri", ma questa volta "l'altro" sarei potuta essere io.

Io che sono costretta ogni giorno a fare i conti con un sistema universitario marcio, per niente equo, che premia più chi è furbo che chi è preparato. D'altronde altro non è che lo specchio di un Paese in cui vince chi trova più escamotage per sfuggire ai propri doveri.

Un sistema universitario votato al profitto numerico, anch'esso specchio di una società capitalista e consumistica in cui tutti dobbiamo correre e ci dobbiamo affrettare a tenere il passo perché chi si ferma è perduto. Se inciampi rimani a terra calpestato e superato da chi, invece, ce la fa.

L'università è un numero. È il numero di matricola che ti assegnano all'iscrizione e con il quale sarai identificato per gli anni successivi; il tuo nome non conta più, a valere sono solo quelle ultime quattro cifre. È il numero di esami che devi dare. È il numero di crediti che devi totalizzare per poter proseguire. È il numero con cui ti proclamano laureata. È il numero di anni in cui devi fare tutto per non diventare fuoricorso. 

FUORICORSO, che brutta parola e che paura che fa. A nessuno piace essere fuori, vogliamo tutti essere dentro. E allora corri e corri più veloce, affrettandoti, e pazienza se nel mentre ti senti morire. L'importante è finire.

L'università della ragazza ha deciso con un comunicato che, nonostante tutto, quello che è successo non è abbastanza grave da sospendere gli esami di profitto (al profitto noi non possiamo mai rinunciare) e che alla fine la vita di quella ragazza non vale più di 3 minuti di silenzio. 

Come fai a non sentirti un fallimento se alla fine della fiera 19 anni di vita non valgono più del tempo di un caffè preso al volo al bancone del bar?


Quanto è marcia la nostra società per inculcare l'idea del fallimento a una DICIANOVENNE che è che agli albori della carriera universitaria e, come direbbe De Andrè, nell'aprile della sua vita? A questa età la vita dovrebbe iniziare, non finire, ma noi le persone che non corrono al ritmo giusto non le vogliamo, sono troppo deboli e aiutarli è troppo difficile e dispendioso. Preferiamo elogiare le lauree lampo prese con modalità opinabili.


Ninetta mia a crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio.

Ninetta bella dritto all'Inferno, avrei preferito andarci d'Inverno.


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